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Lui & Lei

Linda e Guido


di Discobolo
01.04.2023    |    3.782    |    2 9.1
"Guido era un maestro di queste cose..."
Il suo treno arrivò alla stazione centrale di Milano pochi minuti prima delle nove del mattino. Aveva viaggiato tutta la notte, anche se in vagone letto, e si sentiva stanco, sporco, appiccicoso.
Prese un taxi e si fece portare al suo solito albergo, nei paraggi di Brugherio.
Fece una doccia veloce, si rimise in sesto e chiamò Linda sul cellulare. “Ciao, sono già in albergo; quando ci vediamo?”
“Ciao, tesoro,” rispose lei, “sarò in ufficio fino alle cinque del pomeriggio; poi vengo da te. Mi sono presa la serata libera. Ho detto a casa che andavo a cena con una collega di ufficio per discutere di alcuni problemi di lavoro e che probabilmente avrei fatto tardi. Quindi...”
Alle 17,30 in punto, Linda si presentò nella hall dell’albergo. Guido la stava aspettando di sotto e le andò subito incontro. Si salutarono come due vecchi amici, scambiandosi due baci sulle guance. Si sedettero ad un tavolo del bar. “Raccontami,” disse lei, “cosa hai fatto di bello in questi ultimi tempi?”
Guido le prese una mano e la sfiorò con le labbra. “La cosa più bella che ho fatto,” replicò, “è stata quella di pensare a te ed a questo momento. Quanto ho desiderato di venirti a trovare, di vederti, di potere stare un poco con te!”
Presero un tè e chiacchierarono per un’oretta, raccontandosi gli avvenimenti delle ultime settimane. Di alcuni avevano già parlato per telefono, ma approfondirono i particolari, altri erano notizie nuove, commenti sulla degenerazione dei rapporti tra Linda e suo marito, sull’inesistenza, ormai, di un rapporto coniugale tra Guido e sua moglie. Non c’erano toni di commiserazione, in quei commenti, semmai la consapevolezza e la volontà di ricominciare da capo, per una loro realizzazione, anche se sentivano urgente il dovere di non sconquassare le loro rispettive famiglie, di non creare problemi ai figli che non avrebbero, certamente, gradito una separazione dei genitori.
“Dobbiamo vivere la nostra vita, da persone adulte e responsabili, ma cercando di realizzare anche la nostra felicità.” Fu la conclusione di Guido.
Erano le 19 quando uscirono per andare a cena. Linda lo condusse in un ristorantino molto discreto di Gorgonzola, assicurandogli che gli avrebbe fatto assaggiare il miglior risotto alla milanese che avesse mai gustato. Durante la cena si scambiarono solo alcuni complimenti: lui fece gli elogi del vestito e dei gioielli che lei aveva indossato, anche se veniva direttamente dall’ufficio; lei si incantò a sentire, con gli occhi chiusi, il profumo del dopobarba di lui. Si carezzavano la mano sulla tavola, e si tennero assai leggeri col vino.
Erano solo le 20,30 quando uscirono dal ristorante. Avrebbero voluto fare un giro verso il centro, ma il tempo tiranno, e la necessità di lei di essere a casa entro un’ora decente, li indussero a tornare subito in albergo. Salirono in camera dove Guido fece portare una bottiglia di spumante ghiacciato. Appena soli, si abbracciarono con immenso trasporto e si baciarono appassionatamente.
Nell’abbracciarlo, Linda si rese conto che Guido era già fortemente eccitato: aveva sentito sul suo ventre il pulsare impetuoso del sesso dell’uomo, costretto dai boxer e dai pantaloni di cotone leggero. Anche il vestito di lei era di una leggerissima stoffa mista di cotone e acrilico, per cui, nel contatto dei loro corpi, avevano la perfetta percezione di quanto avveniva dentro gli abiti.
Lei gli cingeva il collo con ambedue le braccia. Lui la stringeva abbracciandola sul torace, i seni di lei schiacciati sul petto di lui. Poi Guido fece lentamente scivolare il palmo della mano destra lungo la schiena di Linda, raggiungendo prima il fianco, poi il gluteo. La strinse a sé con più forza, facendola aderire ancor di più con il bacino sul suo pene, divenuto duro come il marmo. Scivolò ancora di più la mano e raggiunse l’orlo della gonna; lo sollevò e si ritrovò ad accarezzare la sua coscia. Risalì con la mano verso l’alto, dove incontrò l’orlo delle sue mutandine. Vi si insinuò con la mano, spingendosi alla ricerca della vellutata valle delle ombre, tra le sue vellutate natiche, morbide e sode al tempo stesso. La raggiunse, fece scorrere un paio di volte il polpastrello del dito medio lungo il solco, poi si soffermò nel punto centrale, dove la sensibilità di lei reagì stringendosi con maggiore energia contro il pene di lui.
Guido ritirò piano la mano, la spostò verso l’elastico delle mutandine e, stavolta, vi si introdusse dall’alto. Spostò un poco il busto verso sinistra, di modo che il suo pene potesse continuare a premere sul fianco destro di lei, mentre la mano, col palmo appoggiato sul ventre caldo e setoso di Linda, si muoveva alla ricerca dell’orchidea selvaggia.
Lei sentì la carezza che sfiorava la sua pelle nella zona più intima e sensibile. La sua eccitazione, già innescata dal precedente corpo a corpo, fu adesso esasperata da quella lenta carezza, che non arrivava mai a destinazione.
Guido era un maestro di queste cose. Aveva vissuto una vita intensa, favorito dal suo lavoro che lo portava sempre in giro per l’Italia, e sapeva bene come stimolare il desiderio femminile: una bella donna era come un’arpa di grande fattura tra i polpastrelli di un grande maestro; sapeva trarne le melodie più celestiali ed i desideri più infernali; le sue dita propagavano un grandissimo ma gradevole calore alle zone erogene di Linda, che sentiva la sua intimità squagliarsi come in un fiume di latte e miele; già sentiva quei liquidi caldi e vischiosi scivolare tra le sue cosce, e mentalmente lo pregava di far presto, di correre all’ingresso del suo fiore, per stimolare la corolla a spremere l’intero piacere che premeva impetuoso sul bocciolo della clitoride.
“Prendimi!” urlava il suo cervello, la bocca impedita dal bacio di lui che aveva insinuato la lingua tra le sue labbra, suggendo dalla lingua di lei altro nettare, altro piacere.
Finalmente lui si staccò del tutto. Stette un attimo a guardarla con infinita tenerezza, con infinito desiderio. Prese a sbottonarle il vestito; glielo sfilò verso il basso, lasciandola con solo addosso il grazioso reggiseno a balconcino che le valorizzava le meravigliose colline che adornavano il suo petto, lasciando scoperti i boccioli color cioccolato, adesso puntuti ed eretti come due piccole ghiande, e le mutandine, minuscoli triangolini allacciati sui due fianchi, che a mala pena coprivano la prominente collina del suo pube infantile, completamente depilato, e che si insinuavano prepotenti tra le natiche, scomparendovi nel solco delle ombre, più a dar fastidio che a coprire e proteggere.
Anche lei si rese parte diligente ed attiva. Slacciò la cintura di Guido, il bottone della cintola ed abbassò la zip della sua patta; fece scivolare liberamente i pantaloni che si fermarono solo quando raggiunsero terra. Guido sollevò uno ad uno i piedi, si liberò dei pantaloni che allontanò con un calcio; era rimasto con addosso solo i boxer, aperti sul davanti.
Il sesso di lui, a lungo costretto dalla pressione dei suoi testicoli e dalla museruola dei pantaloni, sgorgò con uno scatto fuori dall’apertura dei boxer, proteso in avanti, come un ariete medioevale alla ricerca della porta da violare. Si insinuò tra le cosce di lei che le divaricò per un istante giusto per dargli lo spazio di piazzarsi tra di loro, appoggiato alla sottile striscia di stoffa che proteggeva i grandi petali della sua orchidea. Le mani di lui si avvolsero a coppa sui seni di lei, le due bocche ripresero a succhiarsi fra loro, cercando di trarre ognuno la lingua dell’altro con tutto l’impeto di una potente ventosa.
Stavano fermi, per non precipitare l’orgasmo. Solo il membro di lui, pulsando, batteva sulla prugna di lei come il batacchio della campana maggiore del duomo di Milano. Era una situazione che non poteva durare a lungo.
Lui la abbracciò stretta, la sollevò di peso e la portò fino al letto, dove la depose con dolcezza, costringendola a sdraiarsi sulla schiena. Riprese l’elastico delle sue mutandine e gliele sfilò completamente; fece scivolare a terra anche i suoi boxer, quindi si sdraiò sopra di lei, il pene appoggiato ad accarezzare le grandi labbra della porta del paradiso. Riprese a baciarla: sulla bocca, sul collo, sulla fronte, mentre con i polpastrelli di ambedue le mani le massaggiava vigorosamente il cuoio capelluto; poi scivolò con la bocca sui seni di lei e con le mani sui fianchi; la lingua, con veloci e vigorose leccate, scorreva sulla pelle dei seni, lungo le pieghe dove si era infiltrato il reggiseno che intanto lui aveva slacciato, sfilato e gettato lontano. Poi la lingua, sempre a colpetti veloci ed energici, come quella di un serpente che cerca di sentire la preda, prese a scendere lungo il ventre, lungo i fianchi, mentre le mani erano risalite alla conquisa dei seni che comprimevano e lasciavano alternativamente, roteando i polpastrelli dei pollici e degli indici intorno ai capezzoli, stringendoli, strizzandoli, rendendoli più duri e vogliosi. La lingua non si fermava. Andava alla deriva sull’oceano del ventre di lei, alla ricerca della baia dei sogni, alla quale si avvicinava con movimento circolare, coinvolgendo anche la zona interna delle cosce che lei aveva completamente spalancato.
Il sesso di lei era ora del tutto aperto, le grandi labbra divaricate, le piccole labbra fuoriuscite a completare la meravigliosa corolla di quel fiore di carne, pieno di nettare che attendeva solo l’ape golosa che andasse a succhiarlo. E l’ape arrivò, finalmente.
Fu prima la punta della lingua che, sfiorando le piccole labbra, provocarono in Linda una serie di violenti sussulti di piacere; poi la lingua si insinuò tra le piccole labbra alla ricerca del pistillo che volle stuzzicare più volte prima di afferrarlo voluttuosamente con le labbra e succhiarlo con forza, forzan-dolo ad allungarsi e tirandolo tutto dentro la bocca avida.
Nel ventre di lei era scoppiato il terremoto: come in un vulcano in piena attività, la lava che bolliva all’interno avrebbe voluto fuoriuscire, ma qualcosa la tratteneva imbottigliata dentro: quel succhio violento della clitoride, mentre da una parte ingigantiva il suo desiderio le impediva, dall’altra, di dare la spinta all’eruzione dell’orgasmo. Linda ondeggiava sull’orlo del baratro, senza potervi cadere dentro come avrebbe voluto.
“Per favore, prendimi!” riuscì a dire. Ma lui, sadica-mente, fece finta di non sentire. La penetrò ancora di più con la lingua, mentre, adesso, la mano destra era passata sotto di lei, aveva accarezzato la natica destra, il pollice si era intriso degli umori che scivolavano tra le cosce di Linda, ed era andato ad accarezzare, a stuzzicare, a tormentare l’entrata dell’inferno posta al centro del solco tra le sue natiche.
Il desiderio di Linda si fece spasmodico, ma anche Guido stava scoppiando e si frenava a stento.
Poi non ce la fecero più: lui si sollevò fino al suo viso, il suo pene sprofondò improvvisamente dentro la calda vagina di lei che, con la copiosa secrezione dei suoi desideri l’aveva abbondantemente lubrificata, penetrò con violenza, interamente dentro il suo corpo ed, all’unisono, scoppiarono i due orgasmi, violenti e liberatorii, che scossero dalla cima dei capelli al più profondo delle viscere i loro corpi, facendoli vibrare come corde tese al vento, facendoli sbattere con violenza l’uno contro l’altra, provocando lunghi mugolii di piacere che diffondevano il loro suono come arpe eolie in una notte da tregenda. Un orgasmo mastodontico ed appagante, che li fece sentire subito dopo come completamente svuotati dentro. Si stesero sul letto, tenendosi per mano, senza potere parlare né muoversi di più.
Fu un riposo di breve durata. Purtroppo si era fatta quasi mezzanotte, e lei dovette, in fretta e furia, fare una doccia, asciugarsi, rivestirsi e scapparsene a casa.
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